giovedì 31 dicembre 2015

COME MAI VOI NON RICONOSCETE LE FESTE LITURGIKE DEL NATALE E DELLA PASQUA?

Dovremmo rispondere: come mai Voi non leggete la Parola di DIO; Se lo fate percke non ponete attenzione???SEGUIRE DIO O GLI UOMINI?? La nostra posizione, come cristiani evangelici di fede pentecostale, non è dettata da considerazioni preconcette, ma è obiettivamente il risultato della nostra adesione coerente all’Evangelo, senza ac­cettare per scontate certe manifestazioni religiose ormai divenute tradizionali. Non riconosciamo la festa liturgica della natività di Gesù, come anche tutte le altre feste liturgiche del calendario cri­stiano, per ragioni di carattere biblico e storico. Consideriamo,dopo le ragioni culturali, prima quella del Natale. RAGIONI CULTURALI; Gli evangelici pentecostali italiani per la loro peculiare formazione religioso-culturale, coerenti con la propria esperienza di fede, fin dal principio hanno desiderato ripudiare tutto quello che non era fonda­mentalmente biblico e, in conseguenza del fatto che la maggior parte di loro provenivano da un sistema religioso formale intriso di riti e di ceri­monie, vollero “rompere” totalmente con il passato che, tra l’altro, ri­cordava loro soltanto sopraffazione ed ignoranza. Liberati dalla potenza dell’Evangelo di Cristo, essi scopersero la gio­iosa possibilità di “adorare Dio” in “spirito e verità”, in una forma spon­tanea, libera dalla pastoia di liturgie precostituite. Perciò rinunciarono a quelle festività che ormai erano più manifestazioni popolari e di folclo­re, che cristiane in senso spirituale e biblico, affermando che essi ricor­davano in ogni momento Gesù nato, morto e risorto per loro, perché lo Spirito Santo, con la Sua azione continua, faceva del Signore, non sol­tanto un grande personaggio storico del passato, ma il loro Maestro, Consolatore e Sovrano. Ciò non significa, però, che nei periodi delle festività suddette, que­sti giorni non si debbano utilizzare per scopi evangelistici, richiamando l’attenzione della gente al vero senso dei testi biblici. Difatti, si rende evidente come queste feste abbiano sempre più scopi commerciali e di riposo, piuttosto che fini spirituali. Ancora oggi, se interrogati, gli evangelici pentecostali risponderan­no: “Per noi Natale, Pasqua, Pentecoste sono tutti i giorni dell’anno, perché Gesù vive in noi per fede”. La risposta potrà sembrare semplicistica, ma chiunque ha incontra­to Cristo, e Lo ha accettato come proprio personale Salvatore, vive in modo così attuale la propria esperienza di fede da ritenere inutile, anzi controproducente, uniformarsi a feste tradizionali, perché Gesù è una realtà vivente e quotidiana. DAI VANGELI.. Non esiste alcun riferimento biblico che indichi la data del 25 di­cembre, né che menzioni il mese o il giorno della nascita del Salvatore. La narrazione dei Vangeli, anzi, implicitamente e logicamente, esclude la possibilità che Gesù sia nato d’inverno. Nel Vangelo di Luca, è detto: “Or in quella medesima contrada v’eran de’ pastori che stavano ne’ campi e facean di notte la guardia al loro gregge” (Luca 2:8). “Nessun fatto nelle Scritture getta luce sulla stagione in cui nacque Gesù, fuorché questo: che i pastori stavano pascolando le loro greggi nell’aperta campagna, di notte, e certo quest’incidente non favorisce la data del 25 dicembre se consideriamo: a. La fredda atmosfera delle notti di dicembre e di gennaio, in una località elevata come quella di Betlemme; b. Che i mesi, da dicembre a febbraio, sono la stagione piovosa, du­rante la quale cade anche talvolta la neve …; c. Che i pastori ebrei, dopo aver pascolato i loro greggi nel deserto, di notte e di giorno, per tutta l’estate, li riconducevano ai loro ovili alla fine di novembre, per rimanervi fino alla seguente primavera. Se Dio avesse stimato utile per noi che il mese e il giorno in cui l’eterno Suo Figliuolo divenne incarnato, fossero conosciuti e celebrati in tutte le età, Colui che comandò di santificare il settimo giorno, in memoria della creazione, e d’osservare la Pasqua il 15 di Nisan, in com­memorazione della liberazione d’Israele dall’Egitto, non avrebbe Egli distinto quel giorno in modo da rendere impossibile per i cristiani ogni disputa in proposito? E chi ne potrà dubitare? In mancanza di un ricor­do preciso proveniente da Dio, tutte le ricerche hanno fine in semplici congetture, e conseguentemente il volere imporre l’osservanza di un giorno speciale, in commemorazione della natività del Signor Gesù Cristo, è una vera ordinanza umana”. FESTA D’ORIGINE PAGANA: La Chiesa, nei primi due secoli, non sembra aver conosciuto una fe­sta della natività di Gesù Cristo. D’origine occidentale, la sua celebra­zione comparve a Roma verso il 330, diffondendosi durante il IV secolo in tutte le chiese di rito latino. La data 25 dicembre fa pensare che si sia voluto ricordare la nascita di Gesù Cristo “Sole di giustizia” e “Luce del mondo” (come Egli stesso si definisce nel Vangelo secondo Giovanni), per contrapporla alla celebrazione pagana del solstizio d’inverno e della nascita di Mitra (dies natalis solis invicti), che il paganesimo del III-IV secolo festeggiava appunto il 25 dicembre. “Natale è una festa di luce già all’origine. Pare che la data del 25 di­cembre sia stata scelta (la data storica della nascita del Redentore è igno­ta) allo scopo di sostituire la festa della nascita del Sole Invitto, celebrata nella Roma pagana al solstizio d’inverno”. I Padri dei primi secoli non sembrano aver conosciuto una festa della natività di Gesù Cristo. Così si può spiegare la scelta del 25 dicembre per la festa della nascita di Gesù, istituita nel quarto secolo nella Chiesa d’Occidente e adottata dalla Chiesa d’Oriente tre secoli e mezzo dopo. Il motivo di questa scelta deve rinvenirsi nella tendenza, che andava vieppiù sviluppandosi fortemente nella chiesa cristiana ad adottare i giorni festivi degli idolatri, cambiandone i nomi, onde persuadere i pa­gani a fare adesione al Cristianesimo; tendenza che Tertulliano, sin dal­l’A.D. 250, amaramente rimpiange (cfr. De Idolatria, cap. 14), essendo essa, a parer suo, incompatibile con il Cristianesimo, ed in umiliante contrasto colla fedeltà dei pagani alle loro superstizioni. Il 25 dicembre era celebrato, molto tempo prima dell’era cristiana, in tutto il mondo pagano, in onore della nascita di Tammuz, figlio d’Astarot o Cibele “la regina del cielo” dei Babilonesi; ed al fine d’attirar i pagani al Cristianesimo la stessa festa fu adottata dalla chiesa cristiana. IL PRESEPIO E L’ALBERO DI NATALE. Anche la rappresentazione del presepio non ha nessun fondamento biblico, ed è noto che la tradizione ascrive a Francesco d’Assisi la pater­nità del primo presepe, che ideò a Greggio nel 1223. E’evidente che questa rappresentazione, pur avendo un valore arti­stico e folcloristico, è in contrasto con l’insegnamento divino espresso nella Bibbia al secondo comandamento. Infatti è detto: “Non avere altri dii nel mio cospetto. Non ti fare scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù ne’ cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sot­to la terra; non ti prostrare dinanzi a tali cose e non servir loro, perché io, l’Eterno, l’Iddio tuo, sono un Dio geloso …” (Esodo 20:3-5). Ancora, nel Nuovo Testamento è scritto: “… non dobbiam credere che la Divini­tà sia simile ad oro, ad argento, o a pietra scolpiti dall’arte e dall’imma­ginazione umana” (Atti 17:29). Ecco perché, dirà qualcuno, nei paesi protestanti la gente preferisce l’albero di Natale. Da qualche anno, poi, ambedue queste tradizioni si integrano nella festa natalizia. Se la rappresentazione del presepio è iniziata nell’ambito del cri­stianesimo di massa, l’albero di Natale ha origini prettamente paga­ne. Gli antichi popoli pagani germanici usavano decorare le loro case con piante sempreverdi che consideravano come sede degli spiriti della vita e della fecondità. Infatti, alcune di queste piante semprever­di, come il pungitopo ed il vischio, non soltanto erano vitali nelle ge­lide stagioni invernali, ma producevano perfino dei frutti, a riprova della loro fertilità. Questi alberi o arbusti erano quindi decorati con luci e fronzoli di­versi. Ad esempio i Druidi, sacerdoti degli antichi popoli celtici, i quali abitavano soprattutto nel moderno Galles, in Gran Bretagna, adorna­vano, nel periodo di fine anno, i rami di questi alberi con mele decorate. Dopo queste considerazioni di carattere biblico e storico qualcuno dirà: “D’accordo, ma che male c’è nel celebrare il Natale? Non è forse una buona occasione per richiamare l’attenzione di tutti, credenti ed increduli, a ricordare Gesù ed onorarLo? Non ci sarebbe nulla da obiettare a questa tesi, se la Sacra Scrittura, la Bibbia, Rivelazione di Dio all’uomo, non avesse parlato tanto chiara­mente a riguardo, ordinando di evitare quanto è pagano ed inutile, ed invitando i cristiani fedeli all’Evangelo a condursi “… come figliuoli di luce … esaminando che cosa sia accetto al Signore” (Efesini 5:8-10) ed esortando a non partecipare “… alle opere infruttuose delle tenebre …” (Efesini 5:11). Già nell’Antico Testamento Dio richiamava il Suo popolo: “Così parla l’Eterno: Non imparate a camminare nella via delle nazioni … Poiché i costumi dei popoli sono vanità; giacché si taglia un albero nella foresta e le mani dell’operaio lo lavorano con l’ascia; lo si adorna d’ar­gento e d’oro, lo si fissa con chiodi e coi martelli perché non si muova” (Geremia 10:2-4). Nel Nuovo Testamento è scritto: “ … qual comunione tra la luce e le tenebre? E quale armonia fra Cristo e Beliar? O che v’è di comune tra il fedele e l’infedele?” (II Corinzi 6:14, 15). Tutto quanto è tradizione e paganesimo è detestato da Dio. Gesù stesso riprende duramente i religiosi del Suo tempo:”… perché trasgredite il comandamento di Dio a motivo della vostra tradizione? … Avete annullata la parola di Dio a cagion della vostra tradizione” (Matteo 15:3, 6); “Voi, lasciato il comandamento di Dio, state attaccati alla tradi­zione degli uomini” (Marco 7:8). Obiettivamente e coerentemente con l’insegnamento della Parola di Dio, non possiamo, quindi, accettare le tradizioni umane, anche se esse sono espressioni folcloristiche e culturali, poiché desideriamo conti­nuare ad essere saldi nella verità rivelataci nella Bibbia da Cristo, nostro Signore, ancorati alla”… fede, che è stata una volta per sempre trasmes­sa ai santi” (Giuda 3). LA PASQUA E LA PENTECOSTE. Mentre per il Natale, come è stato appena spiegato, non esiste nes­sun “sostegno” biblico, che indichi la data della nascita di Gesù ed, inol­tre, la festività ha palesi origini pagane; per la Pasqua e la Pentecoste la situazione è un po’ diversa, poiché i sostenitori della celebrazione della Pasqua e della Pentecoste, citano alcuni versetti della Scrittura per pro­varne la biblicità. La Pasqua era la festa più importante del mondo giudaico, essa era corrispondente al capodanno ebraico, in ossequio alle parole di Levitico 23:5. La Pentecoste, un’altra festività ebraica che ricordava la mietitura ed i primi frutti, si celebrava il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua. Ini­zialmente, fu una festività agricola che, in seguito, fu legata al ricordo della promulgazione della legge mosaica presso il Sinai. Nella rivelazione cristiana la Pasqua e la Pentecoste acquistano note­vole rilevanza, perché la prima è in concomitanza con la passione, mor­te e risurrezione di Gesù, la seconda con la manifestazione dello Spirito Santo sui circa centoventi cristiani, radunati nella “sala di sopra” di Ge­rusalemme (cfr. Atti 2:1-4). Nel Nuovo Testamento, riguardo la Pasqua e al suo significato tipo­logico, è scritto: “… la nostra pasqua, cioè Cristo, è stata immolata” (I Corinzi 5:7), collegando così l’agnello pasquale, offerto per la redenzio­ne d’Israele, a Gesù “… l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mon­do” (Giovanni 1:29). Il termine “Pentecoste”, invece, sarà usato dopo l’era apostolica dagli scrittori cristiani in riferimento all’effusione dello Spirito Santo. I versetti biblici collegati alla Pasqua ed alla Pentecoste, nel Nuovo Testamento, tranne quello di I Corinzi 5:7, sono sempre riferiti alle “festività” giudaiche dell’epoca. Ciò è comprensibile in quanto esistevano comunità giudaico-cristiane le quali, almeno nel primo periodo del­l’era apostolica, continuavano ad essere ossequienti alle tradizioni ebraiche. A prova di questa realtà, basti ricordare che fu necessario indi­re a Gerusalemme un consiglio dei rappresentanti delle chiese, almeno tredici anni dopo il giorno della Pentecoste, per stabilire una regola per i cristiani non ebrei (cfr. Atti 15:28, 29). Dal Nuovo Testamento non risulta però che i cristiani dell’era apo­stolica celebrassero una festa specifica per ricordare la risurrezione di Gesù o l’effusione dello Spirito Santo. Emerge, invece, la regola, ben stabilita, di tenere almeno una riu­nione di culto settimanale il “primo giorno della settimana”, per ri­trovarsi insieme ed adorare Cristo Gesù, il vivente ed unico Signore della Chiesa, ricordando la Sua morte con la celebrazione della cena del Signore. Questo non avveniva il settimo giorno o il Sabato, festa del riposo giudaico, ma il “primo giorno della settimana”, quando Gesù era risorto (cfr. Matteo 28:1; Marco 16:9; Giovanni 20:1). Infatti, riguardo ai cri­stiani di Troas è scritto: “Il primo giorno della settimana, mentre erava­mo riuniti per spezzare il pane…” (Atti 20:7; Vers. N.R.); ed ancora nell’esortazione di Paolo ai Corinzi, riguardante la colletta per i cristiani poveri di Gerusalemme: “Ogni primo giorno della settimana ciascun di voi metta da parte a casa quel che potrà secondo la prosperità concessa­gli …” (I Corinzi 16:2). Questo “primo giorno della settimana”, chiamato nel mondo paga­no “giorno del sole”, già verso il 96 d.C. era stato sostituito nell’ambiente cristiano dal ”giorno del Signore”, la Domenica, come afferma Giovanni apostolo in Apocalisse 1:10 (cfr. Vers. N.R.). Nella nostra lingua, che deriva dal latino ecclesiastico, quest’espres­sione diverrà “domenica”. Non esiste, quindi, nessuna conferma neotestamentaria dell’uso di festeggiare, in senso liturgico, Pasqua o Pentecoste.

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